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Questa è Italia | Mondo, la newsletter che viaggia per il mondo attraverso le voci di scrittori e scrittrici che lo hanno raccontato e dei personaggi che lo hanno abitato.
Prima di iniziare:
💔Questo numero è dedicato a Alice Munro, che è andata via mentre la rileggevamo per poter scrivere di lei.
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Canada
“Da allora quel bacio non era più uscito dalla mente di Sylvia. Non significava niente di speciale. Voleva dire Su con la vita. Oppure Ci siamo quasi. Voleva dire che erano due buone amiche, e che insieme avevano sbrigato un mucchio di faccende deprimenti. O magari soltanto che era uscito il sole. Che Carla stava pensando di tornare a casa dai suoi cavalli. Eppure, a Sylvia sembrò un fiore coloratissimo i cui petali le invasero il corpo di un impetuoso calore, come una vampata da menopausa.”
(In fuga di Alice Munro)
I racconti di Alice Munro sono così tanti e così perfetti che ci ho messo parecchio tempo a sceglierne solo uno, forse non è il mio preferito in assoluto – non saprei dire qual è – ma fa parte di una raccolta che permette di vedere così bene le vite silenziose che scorrono in Ontario da sembrare un quadro.
È Amica della mia giovinezza, che dà anche il titolo alla raccolta, e racconta una figlia che rincontra in sogno la madre, ancora viva, nella vecchia cucina o per strada o in luoghi inaspettati come un albergo o un aeroporto e soprattutto risente la sua voce che parla della Valle di Ottawa, zona di origine, di crescita e di esperienza lavorativa, un luogo che a dispetto del nome non era una valle ma un paesaggio disordinato fatto di prati piani, laghetti, boschi fitti, dove gli orsi arrivavano fino alle case abitate. È qui che la madre della narratrice vive per un periodo di insegnamento alloggiando nella fattoria di due sorelle cameroniane, Flora e Ellie, e di Robert, promesso sposo di una e poi sposo dell’altra. Ed è qui che assiste alla vita e alla morte, alla malattia e al tradimento, alla forza e alla tenacia di una donna che sopravvive a testa alta, a modo suo, ritirandosi in disparte, inciampando nel buio senza cadere mai del tutto.
Sono i temi ricorrenti di Munro, storie grandi e minuscole al tempo stesso, indimenticabili e indifferenti, che riesce a far accadere in poche pagine, persino all’interno di una vecchia casa dalle pareti annerite e senza elettricità, con una poetica enorme che oltrepassa i confini della Valle per racchiudere tutto.
Subito a ovest dell’Ontario c’è la provincia di Manitoba, il cui capoluogo è Winnipeg, a qualche decina di chilometri da Steinbach, dove è nata Miriam Toews, che ci ha vissuto fino a 18 anni, prima di riuscire a scappare dalla comunità mennonita in cui è cresciuta insieme alla sua famiglia di origine ucraina.
Anche in Bolivia, nel Dipartimento di Santa Cruz, c’è una colonia chiamata Manitoba che prende il nome dalla provincia canadese ed è anch’essa una comunità mennonita ultraconservatrice.
Era destino geografico e letterario che le due Manitoba si incontrassero - scontrassero - nel romanzo di Toews Donne che parlano, il primo che lessi di questa autrice che come nessun’altra sa raccontare con leggerezza e levità, persino con sorrisi e qualche risata, i più tristi drammi familiari.
Tra il 2005 e il 2009 oltre 100 donne della comunità si svegliavano doloranti e sanguinanti, con lividi sul corpo e un senso di sonnolenza e stordimento. Erano state aggredite e violentate durante la notte ma non ricordavano nulla. Gli uomini della comunità sostenevano fosse opera di Dio o di Satana, che punivano così i peccati delle donne, o che fossero stratagemmi femminili per coprire gli adulteri. Era invece opera - guarda un po’! - proprio di un gruppo di uomini della stessa comunità, predicanti la pace e la vita semplice, che usavano la notte e un anestetico veterinario per commettere opere del diavolo.
È una storia vera e come nelle vere storie di violenza, come racconta Toews – che siano in Bolivia, in Canada, in ogni luogo e casa del mondo in cui continuano ad avvenire – alle donne non resta che decidere come reagire:
Non fare niente
Restare e combattere
Andarsene
Ancora più su, nel Grande Nord Canadese, c’è un’isola sperduta e semidisabitata dove Lou, l’archivista protagonista di Orso di Marian Engel, si trasferisce per occuparsi di catalogare un lascito bibliotecario. Da talpa di città, da una quotidianità fatta di mappe, polvere e manoscritti, Lou si trova catapultata a vivere in una realtà isolata e assolutamente naturale che fa riflettere su quale sia o dovrebbe essere la giusta dimensione a misura d’uomo.
“Era un regno immenso. Quasi cento metri di lungofiume trasformati in prati selvaggi e rigogliosi. Lungo l’argine si ergeva una schiera di aceri in fiori, piantati a intervalli regolare. E più in là, l’acqua del fiume scorreva argentea, increspandosi nei punti di secca, per poi sparire tra betulle sottili e arbusti. Non c’era traccia di altre abitazioni.”
E in un paesaggio così freddo, verde e desolato accade quello che non ti aspetti, Lou fa amicizia con uno dei pochi abitanti dell’isola, un vecchio orso a cui si avvicina senza una vera paura, con curiosità reciproca che si trasforma in abitudine e naturalezza. Passeggiano insieme tra gli alberi, nuotano al fiume e si asciugano al sole, ballano, in qualche modo si innamorano, si cercano, finiscono per passare insieme i giorni e le notti.
Il silenzio e la solitudine fanno da chiavi d’accesso all’impensabile, ci ricordano quanto è forte la natura, l’istinto, il selvaggio, ci fanno chiedere se si nascondono ovunque o in ognuno di noi.
Nei giorni in cui leggevo questo romanzo ha iniziato a circolare sui social una domanda rivolta alle donne: “Se fossi sola in un bosco, preferiresti incontrare un uomo o un orso?”. La maggior parte ha risposto un orso e non è difficile immaginare il perché. Lo racconta e lo spiega benissimo, come sempre, Giulia Blasi in questa puntata della newsletter Servizio a domicilio. E senza neanche citare Lou.
Gli ospiti del mese
Alice Munro, edita da Einaudi
Miriam Toews, edita da Marcos y Marcos e Einaudi
Marian Engel, edita da La Nuova Frontiera
L’ospite inattesa
L’ospite di oggi è Serena Blasi, autrice e content writer. Indaga le relazioni tra figlie e madri nella letteratura, nel cinema e nelle serie tv. Scrive racconti memoir e ricerca le voci delle antenate. Ha scritto per Galápagos un articolo sulla metafora dei pozzi partendo dal dialogo tra Natalia Ginzburg e Alba de Céspedes attorno al Discorso sulle donne. Una figlia per amica è la sua newsletter memoir.
Serena ci racconta la scrittura e i luoghi di Alice Munro e la scrittura e i luoghi di tuttǝ noi che scriviamo, la ricerca di una stanza tutta per noi:
Alice Munro è una madre letteraria, i suoi racconti sono stati per me modello al quale ispirarmi e vortice emotivo: dentro le sue storie ho trovato tante donne della mia vita e altrettante che mai incontrerò, ma soprattutto ho trovato me stessa. Ho trascorso queste ultime settimane immersa nei suoi racconti e mi sono resa conto che hanno accompagnato diverse varie fasi della mia vita, come sentinelle accoglienti e luminose. Alice Munro non c'è più ma le parole che ci ha lasciato – come quelle delle nostre madri, reali e immaginarie – rimangono ad illuminarci la strada.
Quando mi sono avvicinata per la prima volta alla scrittura di Alice Munro avevo poco più di vent'anni e mi trovavo a Torino per studiare. Ricordo di aver comprato un piumino invernale che mi faceva sembrare un sacco, ne avevo bisogno perché non ero pronta ad affrontare gli inverni torinesi. Così, mentre passavo il tempo a leggere, scrivere e sentire freddo, ho cominciato ad esplorare il Canada di Alice Munro. I luoghi della scrittrice Premio Nobel per la Letteratura, sono immensi e appartati allo stesso tempo, profumano di crostate e sciroppo d'acero. Nei suoi racconti la natura è silenziosa ma sempre presente e diventa un ponte per rivelare un fatto, la natura è la chiave della sua scrittura.
“In quei tempi nessuno passeggiava in paese, tranne qualche vecchio possidente che se ne andava in giro a osservare e criticare qualsiasi iniziativa del comune (…) Ciononostante andare in paese mi piaceva, era un sogno in quelle giornate autunnali. Come un luogo incantato, con quella luce malinconica sui muri di mattoni gialli o grigi, e un'immobilità arcana, ora che gli uccelli erano volati a sud e le mietitrebbia delle campagne tacevano. Un giorno, mentre salivo la collina di Christena Street, verso casa della nonna, mi sentii nella testa l'eco di alcune righe, l'inizio di una storia.”
(Alice Munro, La vista da Castle Rock)
Le donne e gli uomini che nascono dalla penna di Alice Munro, si muovono tra l'immobilità arcana e le luci malinconiche della natura. Le loro scelte – o meglio, le loro reazioni – fanno la Storia. Vita interiore e natura sono legate a doppio filo.
Il libro che consiglio sempre per cogliere le connessioni tra luoghi e memorie nella scrittura di Alice Munro è La vista da Castle Rock, un memoir familiare. Se avete una passione per antenate, nonne, bauli, chiacchiere davanti al caffè, soffitte e trasferimenti dovreste proprio leggerlo.
“Per Natale dovevo sposarmi, e poi trasferirmi a Vancouver. L'anno era il 1951. La nonna e la zia Charlie – rispettivamente più giovane e più vecchia di me adesso – riempivano i bauli che avrei portato via. Uno era quello vecchio e robusto con il coperchio a botte e ce l'avevamo da tanto tempo. Avrà attraversato l'oceano Atlantico insieme a voi, mi domandai ad alta voce.
Va' a sapere, disse la nonna.
La curiosità per la storia, anche solo quella di famiglia, non incontrava il suo plauso. Cose del genere erano solo sciocchezze, perdite di tempo, come leggere ogni giorno una nuova puntata della stessa vicenda sui quotidiani. Lo faceva anche lei, peraltro, ma era contraria.”
(Alice Munro, La vista da Castle Rock)
La cosa più importante che ho imparato leggendo Alice Munro è domandarmi dove mi trovo mentre scrivo, quale luogo la mia mente ha bisogno di abitare per liberarsi. Esercitare questo sentire è fondamentale, dona tridimensionalità ai racconti.
Alice Munro lascia fuoriuscire questo concetto in un racconto della sua raccolta, Troppa felicità: “Ci sono pochi luoghi in una vita, forse persino uno solo, in cui succede qualcosa; dopodiché ci sono tutti gli altri luoghi.” Queste parole le considero un manifesto, una vera e propria eredità.
La sua scrittura non sarebbe la stessa senza il Canada, come quella di Elena Ferrante non sarebbe la stessa senza Napoli. Anche l'autrice de L'amica geniale si è interrogata a fondo sulla capacità dei luoghi di farsi corpo; per creare uno di quei dialoghi tra scrittrici che amo tanto, vi lascio un piccolo estratto da La frantumaglia di Elena Ferrante: “Con Napoli, comunque, i conti non sono mai chiusi, anche a distanza. Sono vissuta non per breve tempo in altri luoghi, ma questa città non è un luogo qualsiasi, è un prolungamento del corpo, è una matrice della percezione, è il termine di paragone di ogni esperienza.”
Veniamo da un luogo o da miscugli di luoghi, le vite che racconta Alice Munro si svelano attraverso di essi.
Quando ripenso a ciò che scrivevo durante i miei anni torinesi, vedo questo intreccio di strade, atmosfere, sensazioni: l'immagine dell'isola Tiberina – dove sono nata io – si mescola a fotogrammi torinesi, dove ho dato alla luce mia figlia e mio figlio. La storia di mia nonna paterna si porta dietro i silenzi della campagna viterbese per confondersi poi con la vastità del Flaminio; la storia di mia nonna materna si muove dal mare di Taranto e arriva fino alla Garbatella. Io ho assorbito tutto e quando mi siedo alla scrivania per scrivere me lo chiedo sempre: dove mi trovo?
Seduta a scrivere, ripenso ad un incipit geniale di Alice Munro: “La soluzione alla mia vita mi venne in mente una sera mentre stiravo una camicia. Era semplice ma audace. Mi presentai in soggiorno dove mio marito stava guardando la televisione e dissi: - Ho pensato che dovrei avere uno studio.”
Cerco ogni giorno di rendere questa scrivania più simile a me, non importa che sia un vero studio o un piccolo angolo della casa decorato; il gioco delle memorie attraverso la scrittura è l'unica cosa che mi sia mai appartenuta davvero. Le parole di Alice Munro sono tra quelle che considero salvifiche, i suoi racconti hanno portato cambiamenti: è un concetto semplice ma audace, come direbbe lei. Perché la letteratura riesce a far questo e non dovremmo mai dimenticarlo.
Nelle puntate precedenti abbiamo parlato e disegnato di Cile, Lisbona, Cuba, Brasile, Palestina e Israele, Istanbul, Messico e Tōkyō.
Nella prossima puntata un riepilogo speciale di tutte le puntate della stagione e qualche anticipazione sulla prossima.
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Mi chiamo Francesca Ceci e sono autrice e sceneggiatrice di graphic novel e libri illustrati - Badù e il nemico del sole, Possiamo essere tutto, 51 cose da fare per essere felici - e collaboratrice, oggi o in passato, di riviste letterarie tra cui Altri Animali, Flanerì, I libri degli altri e Singola.
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Leggervi, insieme alle parole di Alice Munro e altre scrittrici, è stato bellissimo. E ora, seduto alla scrivania, mi porto verso la sera chiedendomi anch'io dove mi trovo.
Bellissima puntata, come sempre! Seguo anche Serena, è stato bello trovarla qui :)