Ciao, grazie di essere qui!
Questa è Italia | Mondo, la newsletter che viaggia per il mondo attraverso le voci di scrittori e scrittrici che lo hanno raccontato e dei personaggi che lo hanno abitato.
Prima di iniziare, tre piccole cose:
🗺 Call for artist - Avevo immaginato questa newsletter in una stagione unica di 10 puntate, ma in questi mesi sono venuti fuori nuovi spunti e idee e quindi sto già pensando alla seconda stagione… se sei artistǝ, graficǝ, illustratorǝ, fumettistǝ (o se hai amicǝ che lo sono) e vuoi salire a bordo di questa mongolfiera, scrivimi per creare insieme le prossime mappe!
✒️ #Unite - È in corso #Unite - una azione letteraria collettiva ideata da Giulia Caminito e Annalisa Camilli a cui hanno aderito scrittrici e giornaliste italiane per denunciare la violenza di genere e nominarla. Qui c’è il mio racconto San Lorenzo, una storia quasi vera di tanti anni fa, pubblicata su Altri Animali.
🙏 Infine, grazie a due lettrici che hanno scelto di “offrirmi” una tazza di tè, un piccolo gesto di cura e sorriso.
A Istanbul, indimenticata ❤️
Istanbul
“Ecco come, secondo i dati di cui disponiamo, Orlando trascorreva la sua giornata. Verso le sette del mattino si alzava, si avvolgeva in una lunga vestaglia alla turca, accendeva un cheroot e s’appoggiava alla ringhiera del suo balcone. Là egli si tratteneva a guardar la città ai suoi piedi, apparentemente immersa nel sonno. A quell’ora, la nebbia era così fitta che la cupola di Santa Sofia e le altre parevano fluttuare al disopra di essa; a poco a poco i vapori si diradavano; le cupole, che sembravano bolle d’aria, apparivano ben solide sulla terra; e qua si vedeva il fiume; là il Ponte di Galata; e là i pellegrini in turbante verde, ciechi o senza naso, che chiedevano l’elemosina; e i cani randagi che frugavano tra le immondizie; e le donne avvolte nello scialle; e gli innumerevoli asini; e uomini a cavallo armati di lunghe pertiche. Ben presto, la città intera si destava al sibilar delle fruste, al rimbombar dei gong, ai canti che invitavano alla preghiera, alle staffilate sulla groppa dei muli, al rintronar delle ruote cerchiate d’ottone sul selciato; mentre zaffate d’odori acidi, lievito in fermento, incenso e droghe, salivano sino alle alture di Pera, quasi fossero l’alito stesso di quella barbara popolazione stridente e multicolore.”
Virginia Woolf, Orlando
Istanbul è doppia e divisa a metà, si dimezza e si moltiplica.
Nel mio pensiero, in ogni lettura, nei giorni in cui la vivo.
Il primo a dividerla tra Europa e Asia è il Bosforo, con l’imbarcadero di Eminönü e le sue bancarelle di panini al pesce e gatti in attesa, con quello di Üsküdar che in lontananza ti illude che tutto può essere diverso o che qualcosa almeno può cambiare. Sono le stesse acque che ha attraversato Nâzim Hikmet in una notte di tempesta e nelle quali ha rischiato di annegare e noi di perdere altri versi, che non potesse più lasciarci altre parole, quelle più belle ancora da dire.
E sono ancora le stesse acque che fanno rumore nella poesia di Orhan Veli Kanık. I suoni dei venditori di acqua, il rumore leggero dei piedi di donna che si bagnano, il trascinarsi delle reti da pesca. Ascolto Istanbul è una poesia che stravolge ogni percezione della città, invita a chiudere gli occhi per poterla vedere profondamente e diversamente, non più solo sguardo ma attenzione a ogni suono, a ogni voce, a ogni cigolio, avvertiti con tutti i sensi e poi restituiti sotto forma di foglie e di alberi, di uccelli e di luna bianca, di rose e di pistacchi.
Uno degli elementi che costituiscono il patrimonio culturale immateriale dell’umanità è il kuş dili, linguaggio fischiato che permette di comunicare a distanza simulando la lingua degli uccelli. È tipico del villaggio di Kuşköy, nel nord della Turchia, ed è particolarmente usato nelle comunità rurali e montane, dove la geografia non aiuta la vicinanza. I bambini lo studiano a scuola, alcuni lo considerano un codice cifrato, nato come esigenza tra le montagne e tramandato per 500 anni, oggi a rischio di essere perduto e dimenticato tra quegli stessi monti.
E prima che si perda definitivamente lo immagino linguaggio segreto dei personaggi de La casa sul Bosforo di Pınar Selek, ad unire le due metà della città al posto dei ponti e dei traghetti: Elif che fischia verso Hasan da qualche parte, Sem che risponde con forza a Salih, in un racconto che dura vent’anni, distanti nel tempo e di nuovo insieme nei quartieri di Yedikule, di Beyoğlu, di Karaköy.
O ancora come strumento di comunicazione immaginaria tra chi parte e chi resta, tra la città e i suoi abitanti lontani, come la stessa autrice, arrestata con la falsa accusa di complicità con il PKK, torturata, assolta ma ugualmente esiliata dal proprio Paese e costretta a vivere in un altro.
Ci sono altre due città a Istanbul che non si incontrano mai. Sono la città di sopra e la città di sotto, quella esterna, assordante, caotica, infinita, e quella sotterranea, buia, troppo silenziosa, altrettanto senza fine. Sono le città parallele che Burhan Sönmez – attivista e avvocato per i diritti umani, anch’egli arrestato e poi trasferitosi in Inghilterra - racconta in Istanbul Istanbul: un mondo esteriore che diventa irraggiungibile e straniero per chi si trova all’interno delle prigioni turche, tra interrogatori, bugie e torture, in cui l’unica luce sono le parole e i racconti che si scambiano i prigionieri in una sorte di Decamerone notturno che offre l’illusione e la forza di immaginarsi altrove, sul mare, per le strade piene di gente, affacciati sul Bosforo a guardare persone che ballano sulla riva, il sole che scende, un venditore ambulante.
È tutto vero, è tutto irreale.
Gli ospiti del mese
Nâzim Hikmet, edito da Mondadori
Pinar Selek, edita da Fandango
Burhan Sönmez, edito da Nottetempo
L’ospite inatteso
L’ospite di oggi è Kaleydoskop, rivista online sulla cultura e la società turca, la cui redazione è composta da Lea Nocera (ideatrice del progetto), Fazıla Mat, Giulia Ansaldo, Carlotta De Sanctis e Valentina Marcella. È un progetto di informazione e approfondimento che racconta la Turchia attraverso la letteratura, la fotografia, il cinema e i documentari sonori, le mostre e le pratiche culturali, nonché un progetto di cooperazione e sostegno a forme di cittadinanza attiva del Paese.
La redazione ha scritto per Italia|Mondo un testo sulla città di Istanbul e sulle trasformazioni che hanno coinvolto anche altre aree del Paese, arricchito da link che rimandano a racconti di autori e atrici turche tradotti per la prima volta in italiano nella rubrica di racconti della rivista:
La Turchia che cambia
La potenza ammaliatrice e il fascino del Bosforo non smetteranno mai di sortire effetti sugli abitanti di Istanbul né tantomeno sui viaggiatori di passaggio. Quel rallentamento del tempo, rimanendo pur sempre in movimento a bordo di un vaporetto che va avanti e indietro tra la parte europea e asiatica della città; quella sospensione dalla frenesia delle strade piene di gente, gatti, macchine, scooter, carretti, bus, cani, tram; quel sentimento di dover regalarsi per forza un quarto d’ora, seduti su una panca a guardare il cellulare o i gabbiani in volo, a fumarsi una sigaretta o a leggere un libro, a pensare o ad ascoltare frammenti dei discorsi di altri, almeno fino a quell’ultimo saltello per scendere e tornare di nuovo a mischiarsi alla folla, ai rumori, alla polvere. Trovarsi, così semplicemente, ad attraversare le acque di una delle venti metropoli più grandi del mondo, tagliando la strada a enormi cargo che inesorabilmente continuano a fare l’andirivieni tra il mar Nero e il mar Mediterraneo, in uno spazio definito nel tempo e confortato dalla costa su ogni lato, lascia lo sguardo muoversi in una prospettiva che ingurgita rapidamente cemento e secoli al fragore delle onde. Perché se all’inizio si resta con gli occhi ancorati agli edifici storici che affacciano sul Bosforo, alla punta del Serraglio, lì dove ancora nel verde c’è il Topkapi, vecchia dimora dei sultani, o si seguono per gioco le linee verticali dei minareti della Moschea Blu o Santa Sofia, o ancora si mantiene lo sguardo alla riva per non perdersi il palazzo del Dolmabahçe, poi poco alla volta lo sguardo si riempie di grattacieli, palazzi su palazzi, gru ed enormi cantieri. La silhouette della città, lo skyline, è forse la sintesi più immediata di quanto sia cambiata la Turchia negli ultimi anni. Istanbul si estende oramai a perdita d’occhio, e in macchina ci vogliono almeno due ore per attraversarla da un punto all’altro, quando non c’è traffico. E a parte il nucleo storico di Sultanahmet, il vecchio quartiere di Pera (oggi Beyoğlu) con i suoi palazzi costruiti tra l’Ottocento e inizio Novecento, e ciò che resta dei vecchi villaggi poco alla volta fagocitati dalla metropoli che continua ad affascinare tutti, il resto della città è una massa informe e claustrofobica di cemento e asfalto.
Tutte le colline sono state ricoperte in lungo e largo da palazzoni e conglomerati urbani privi di anima e talvolta anche di senso. Ci sono aree male connesse al centro, dove sono stati costruiti edifici tutti uguali tra loro, con venti o trenta piani, in alcuni casi promettenti residenze con vista mare o lontane dal caos che se ne stanno lì, vuoti, spettri di una speculazione che ha cambiato Istanbul e non solo, interi paesaggi urbani. Il terzo ponte sul Bosforo, il terzo aeroporto, città satellite hanno tirato i limiti della città. Certo, una rete di trasporti integrati funzionale ed efficiente ma molto costosa per chi ci abita facilita gli spostamenti e muove ogni giorno centinaia di migliaia di persone. Resistono i mercati, non solo il Gran Bazaar ed Eminönü dove ancora si può trovare qualsiasi cosa, dal caffè turco di Mehmet Efendi (la migliore torrefazione del paese) ai pezzi di idraulica, dalle bomboniere per la festa della circoncisione alla biancheria, ma anche quelli rionali dove si compra frutta, verdura, vestiti e prodotti per la casa che i venditori dichiarano non essere mai cinesi. Ma Istanbul è piena di scintillanti ed enormi centri commerciali, con grandi marche e cifre blu, dove si continua a comprare a rate grazie all’uso sproporzionato di carte di credito. In verità anche il centro è cambiato molto, grazie alle politiche di trasformazione urbana che sono state il motore dello sviluppo economico degli anni Duemila. Un quartiere intero, Sulukule, noto per essere il più antico insediamento della popolazione rom e sinti, non esiste più. Così come le antiche case di legno tipiche dell’edilizia ottomana nei vicoli subito sotto la Moschea blu sono state tutte laccate di colori sgargianti per diventare attraenti residenze per turisti. A Taksim non c’è più l’enorme capolinea degli autobus, che oggi passano invisibili nei tunnel sotto la piazza; è stato demolito (per poi essere ricostruito) il centro culturale Atatürk che durante le proteste di Gezi fu ricoperto di tutti gli striscioni dei vari gruppi politici; a dominare la piazza ora è una enorme moschea. Sull’Istiklal caddesi, la lunga via pedonale, al posto di tanti negozi e bar si sono aperte nuove rosticcerie e ristoranti per famiglie, destinati per lo più al crescente turismo dai paesi del Golfo.
Il cambiamento si legge anche nelle abitudini. Si beve sempre çay, a ogni ora, e non si è smesso di fumare sebbene anche qui oramai viga il divieto nei locali chiusi. Le sigarette costano tanto però, per non parlare degli alcolici. Soltanto quindici anni fa non si trovava che la birra Efes, raki e vino mentre ora nei bar si bevono cocktail e shot con ogni tipo di superalcolico ma a prezzi esorbitanti, un’eco della cool Istanbul degli anni Duemila schiacciata dalle tasse e dalla morale. La Turchia è cambiata anche fuori dalla grande metropoli: l’antica città di Hasankeyf, sul fiume Tigri, è sommersa dalle acque per la costruzione di una diga; la provincia di Muğla è devastata dalle centrali a carbone ma è anche successo che vecchi campeggi fricchettoni sono diventati ecovillaggi e sul Mar Nero un nuovo turismo selezionato ha portato all’apertura di piccoli caffè bio. Vale ancora la pena viaggiare per il paese in autobus, superattrezzati, e anche se non ci sono più le vecchie baracche per le soste ma più moderni autogrill, dai finestrini si scorge ancora un paesaggio in mutamento ma sorprendente e piccoli squarci del paese com’era ai tempi dei memorabili viaggi verso l’Est.
Nelle puntate precedenti abbiamo parlato e disegnato di Cile, Lisbona, Cuba, Brasile, Palestina e Israele.
Nella prossima puntata parleremo e disegneremo di Messico.
Se hai suggerimenti di luoghi, libri e autori in cui Italia | Mondo potrebbe fare tappa, o se vuoi illustrare la prossima mappa puoi scrivermi a fra.ceci@hotmail.it
Mi chiamo Francesca Ceci e sono autrice e sceneggiatrice di graphic novel e libri illustrati - Badù e il nemico del sole, Possiamo essere tutto, 51 cose da fare per essere felici - e collaboratrice, oggi o in passato, di riviste letterarie tra cui Altri Animali, Flanerì, I libri degli altri e Singola.
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